Dopo un giudice di primo grado, anche la Cassazione ha stabilito che: il dirigente di un'azienda può violare la casella di posta elettronica di un dipendente e leggerne le e-mail senza incorrere nello specifico reato , purchè vi siano accordi aziendali che consentano la messa a disposizione delle password.
Nel 2001, il dirigente aveva fatto licenziare R.M. dopo aver consultato la sua posta elettronica: «La procedura aziendale me ne dava la facoltà, vi ho trovato i documenti che mi servivano e altri non consoni al lavoro svolto dalla dipendente». Un report aziendale girato a un altro dirigente.
Il giudice torinese Adele Pompei, nell'ottobre 2006, aveva assolto G.T., manager della Pilkington Siv con la motivazione :«i computer di proprietà di una società sono a tutti gli effetti strumenti di lavoro assegnati in dotazione ai dipendenti per l'esclusivo svolgimento dell'attività aziendale».
Ci fu ricorso in Cassazione Penale da parte del pm torinese Gianfranco Colace.
Nella discussione la quinta sezione penale ha accolto la tesi difensiva dell'avvocato Alberto Mittone: «La dipendente aveva sottoscritto un accordo aziendale sui servizi di sicurezza comprendenti la messa a disposizione della password in caso di necessità aziendali».
La sentenza della Cassazione è di martedì sera, se ne conosce solo il dispositivo, occorrerà attendere le motivazioni per saperne di più: per il momento la novità e l'introduzione di paletti specifici rispetto a questa facoltà dei datori di lavoro :senza accordi aziendali le password restano segrete!
Precedenti : Provvedimento del Garante della privacy, del 1° marzo scorso: «I servizi di posta elettronica sono suscettibili di controlli che possono giungere fino alla conoscenza da parte dell'imprenditore del contenuto della corrispondenza».
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